Colline ciociare, il menù dei 30 anni da Salvatore Tassa

Colline ciociare, il menù dei 30 anni da Salvatore Tassa

Ed è andata così, sono stata da Salvatore Tassa, ad Acuto, nel suo ristorante chiamato Colline Ciociare, senza averlo programmato, in una serata in cui di certo non me lo sarei aspettato. Tant’è che con me non avevo neppure la macchina fotografica e mi scuso da subito per la qualità delle foto realizzate mediante l’ausilio del solo cellulare.

Acuto è ad un oretta da Roma, uscita Fiuggi-Anagni, ci si inerpica in una strada buia in salita e poi, a piano strada, eccoli lì: “Salvatore Tassa cuciniere” la targa appesa all’ingresso.

Il  locale appare abbastanza semplice sia all’esterno, sia all’interno, la sala è non è molto grande, ci sono 6 tavoli, arredato senza eccessi e con un gusto classico. Semplice anche la proposta alla carta 2 menù: i classici e il menù dei 30 anni di Salvatore Tassa. Essendo in due, abbiamo chiesto se era possibile assaggiare entrambi così da poter provare tutto, la nostra richiesta è stata gentilmente accolta. Rimane da scegliere, cosa bere ma non chiedete la carta dei vini qui, da qualche tempo, non c’è! Le proposte sono al calice o concordate con la sommelier in base ad eventuali richieste specifiche. Pertanto ci affidiamo alla selezione al bicchiere che ci propongono, la scelta è tutta incentrata su produttori del Lazio, che tuttavia è stato interessante provare.
E’ lo chef stesso che non tarda a darci la sua personale accoglienza, presentandosi e salutandoci con naturalezza e piacevole confidenza.

A tavola già troviamo grissini e carta musica con verdure da sgranocchiare in attesa di iniziare la cena e poi si aprono le danze con uno “snack di benvenuto” che si compone di:
crema di zucca, profumata con zenzero e servita con una spuma di funghi porcini, va mangiata con il cucchiaino ma senza amalgamare, prendendola dal basso verso l’alto.
Maritozzo cotto al vapore ai profumi del bosco arricchito con curry e servito con una foglia di cetriolo marinato in aceti orientali. Bomba fritta ripiena di una crema di cacio e pepe, cialdine croccanti al miso con crema di ricotta al profumo di limone salato. L’ultimo assaggio sono le foglie di cipolla rossa, queste vengono arrostite e massaggiate con del latte di mandola, profumate con erbe aromatiche e servite con una estrazione di rapa rossa.
La crema di zucca servita nella coppa martini è sicuramente la più entusiasmante che abbia mai provato, la spuma di porcino è deliziosa e ha una persistenza incredibile in bocca, accompagnata con la dolcezza della zucca, sembra di mangiare l’autunno in un boccone.
Favolosa anche la cipolla, bruciacchiata con sentori affumicati, croccante e fresca, ma allo stesso tempo tenera e con una piacevole tendenza dolce.

A seguire si entra nel vivo della cena, per menù dei 30 anni, la prima portare è la: gelatina di pomodoro San Marzano, servita con riccio di mare, neve di yogurt, erbette selvatiche spontanee e tartufo nero locale. Lo yogurt è freddo il San Marzano anche e ha una consistenza davvero particolare, sembra quasi un battuto di carne, il tartufo anche la faceva da padrone, forse era il riccio di mare che rimaneva un pochino penalizzato.

Dal menù dei classici invece il primo antipasto si compone di: tuorlo d’uovo marinato in aceti, servito con un insalatina di misticanza arricchita con erbette selvatiche spontanee, guanciale croccante, crostino di pan brioche allo zafferano croccante, ribes, sale maldon, e foglie di ovulo a crudo, ci consigliano di mangiarlo rompendo il tuorlo e mescolando tutto.
Un piatto semplice e gradevole, tra le erbette probabilmente c’era del coriandolo, io non lo amo particolarmente, ma questo dipende da me.

L’altro antipasto era il cannolo di polenta con ricotta di pecora locale, spinaci al sesamo bianco e olio alla nocciola, buona la consistenza del cannolo e perfetti gli spinaci con il gusto tostato del sesamo.

Il bianco che ci viene servito per accompagnare è dell’azienda biologia Donato Giangirolami, un blend di Viogner, Sauvignon, Chardonnay, 2017, fresco e minerale.

Sui primi piatti devo ammettere che la sfoglia realizzata per tutte le portate era ottima, la consistenza della pappardelle mi è piaciuta molto al pari di quella dei ravioli, davvero notevoli.

Le pappardelle erano condite con una salsa a base di zafferano e cipolla criomacerata, si intitola “cipolla e zafferano oggi” e appartiene al menù dei 30 anni, invece la portata del menù classico era sempre pasta lunga ma più sottile con pomodori alla brace, vaniglia bourbon, pecorino e foglie di menta, dalla spiccata tendenza dolce ma comunque ben bilanciato grazie al pecorino.

Arriviamo quindi al piatto che più di tutti mi ha colpito durante questa cena,  è un piatto del menù dei 30 anni e sono i ravioli. La sfoglia viene farcita con aglio, ma questo subisce un particolare processo di lavorazione infatti per la metà viene sbianchito e per l’altra metà lavorato sempre con gli aceti orientali, in modo che il ripieno non sia affatto pungente ma molto piacevolmente profumato. Il tutto è accompagnato da un consommé di mele, dalla tendenza dolce. Mangiato insieme il connubio è azzeccassimo e la tendenza dolce della mela che incontra il ripieno di aglio fa si che i gusti che si spalleggino a vicenda, esaltandosi.

Ben eseguiti anche i piatti a base di carne, nel menù dei 30 anni c’è il manzo, invece nel menù dei classici, l’agnello.
Entrambi sono serviti son un purèe di patate affumicato alla pigna, infatti da questo accompagnamento si sprigiona un piacevole sentore tostato che accompagna alla perfezioni gli arrosti.
Il “manzo allo spago” era lasciato leggermente rosato al centro ed era accompagnato sia da una salsa all’arancia che dalle sue scorze, invece l’agnello, tenerissimo, servito con la sua salsa di cottura, bacche di ginepro e finferli.

Il rosso ad accompagnare, in questo caso è quello di Tenuta della Ioria, un vino proprio prodotto ad Anagni, quindi vicino di casa del ristorante, uvaggio ovviamente Cesanese di Affile, 2016.

Pre dessert, molto fresco a base di limone candito, menta, meringa, capperi essiccati sopra.

Il dessert del menù dei 30 anni si chiama “La Terra” e al suo interno ha davvero un tripudio in ingredienti: a prevalere è senz’altro il cioccolato, ma questo è aromatizzato al cardamomo, alla base del piatto si trova sedano e sedano rapa canditi, sopra la spuma al latte di mandorla e il caramello, c’è del ribes e  il tè matcha. Nel complesso un dolce molto piacevole, non troppo dolce e ad ogni boccone un mix diverso di sapori. Al pari, il dessert del menù i classici è un “wafer alla cannella, crema chantilly al caramello e gelato al caffè moka” si compone di un cannolo ripieno di mousse con il gelato al caffè sopra, decorato con salsa al caramello e chicchi di caffè.

Quello che rimane di una cena da Salvatore Tassa,  sono i gusti della campagna romana all’ennesima potenza legati anche al fatto che ho avuto la fortuna di aver provato un menù tra l’estivo e l’autunnale, dove funghi e tartufo fanno capolino e qualche pomodoro è ancora presente. I piatti di Salvatore Tassa seguono il ciclo della natura, tutto il percorso fatto ti riporta a sapori concreti, pochi fronzoli, pochi eccessi. Una cucina onesta, ma non semplice e mai banale. Piatti come i ravioli di cui vi raccontavo o il manzo allo spago, parlano di una sensibilità e di una delicatezza fuori dal comune eppure i gusti sono decisi: l’aglio, la carne, la cipolla bruciata e anche nell’utilizzo delle erbe spontanee spesso l’approccio al palato e piuttosto grintoso, non è l’aroma appena percepito ma picchi di sapore che vanno a scontrarsi e poi ad esaltarsi, all’inizio l’ho ritenuto un caso e una mancanza di armonia, ma poi ritrovando questo approccio in tutti i piatti ritengo che sia una sua caratteristica.

Ammetto che non trovare una carta dei vini è una cosa che non ho apprezzato, come anche,  avrei preferito avere anche del pane tradizionale a tavola invece che solo grissini e crackers, ma comprendo che sono scelte che si fanno e che anche questo porta un locale come quello di Salvatore Tassa ad essere fuori dagli schemi. E’ un po’ destabilizzante tutto questo, ma probabilmente in linea con il suo carattere da “libero cuciniere”. Si crea una rottura rispetto a quello che ti aspetti,  d’altronde se vai in un ristorante stellato la carta dei vini, il pane tradizionale, la piccola pasticceria sono quello standard quasi dovuto, non avere nulla di questo crea una rottura, un effetto dirompente, ma che alla fine dei conti, al livello di esperienza complessiva, no, non pregiudica affatto il risultato finale. Allora ben venga uscire dagli schemi come avviene da Colline Ciociare.

Ristorante Colline Ciociare
Via Prenestina, 23, 03010 Acuto (FR)
Telefono: 0775 56049
Chiuso lunedì e domenica a cena

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