Jeong Kwan e il pasto del tempio, il Baru Gongyang

Jeong Kwan e il pasto del tempio, il Baru Gongyang

Jeong Kwan e il pasto del tempio, il Baru Gongyang

La scorsa settimana è stato un po’ come respirare un po’ di Asia a Roma.
E’ stato un vero onore incontrare di persona la monaca Jeong Kwan.
Sicuramente per molti di voi non ha bisogno di presentazioni, ma per gli altri, la monaca è diventata negli anni una nota chef nell’ambito della cucina templare Buddista, le sue origini sono della Corea del Sud. Diciamo che la puntata di Chef’s Table a lei dedicata l’ha sicuramente resa un personaggio celebre ai più, e anche io sono rimasta totalmente affascinata dalla cucina di questi monasteri e dalla filosofia che si cela dietro le loro abitudini alimentari, che ho fatto i salti mortali per poter essere presente a questo evento.

La chef monaca Jeong Kwan, viene dal monastero di Chunjinam e qui a Roma è stata ospite dell’Istituto Culturale Coreano e presso il Grand Hotel Palace di Roma, ha fatto conoscere i segreti della cucina buddista del suo tempio. Personalmente sono riuscita a partecipare all’esperienza del Baru Gongyang, il pasto monastico formale del tempio, dove si mangia in ciotole di legno denominati “baru”, da cui il pasto prende il nome.
Per farlo ci sono delle regole molto precise di movimenti e step da rispettare, si segue una vera cerimonia di come utilizzare le ciotole e le posate (cucchiaio e bacchette). Mangiare, per la chef monaca, non è solo nutrirsi ma è un modo per riflettere sull’origine del cibo e di essere grati per la natura e le persone che ci donano i prodotti della terra.
Fare un pasto consapevole con lei, unito alla meditazione finale è stata per me una bellissima esperienza della sua cultura.

Tutto si apre con un momento di ringraziamento il cui ci si ripete:

– Da dove viene questo cibo?
– Le mie virtù sono così scarse che non sono degno di riceverlo.
– Mi libererò di tutta mia avidità e consumerò questo cibo come una medicina per rafforzare il fisico al fine di raggiungere l’illuminazione.

Il pasto è vegano e semplice, si compone di riso al vapore e miglio glutinato, si consuma con il cucchiaio e si mangia accompagnato ad un serie di bellissimi e variopinti contorni, che invece vanno consumati con la bacchetta.
I contorni sono coltivati e raccolti dalla monaca stessa, ma il gusto di queste pietanze è davvero intenso ed esplosivo. D’altronde la salsa di soia della monaca invecchiata 5 anni probabilmente fa la differenza. Pietanze come il chonjinam kimchi o i funghi shiitake con sciroppo di riso restano ben impresse nella mente per il loro gusto particolare, il primo acido e rinfrescante, il secondo ricco di umami e con qualche tendenza dolce.
Insieme viene portata anche una zuppa, quella assaggiata era a base di funghi autunnali chiamati neungi.

Altrettanto bello è stato il momento del tè ai fiori di loto. Servito con “bugak” patate e alghe marine fatte a chips croccanti e barrette di riso glutinato soffiato. E’ stato l’unico momento in cui è stato possibile scattare delle foto e parlare con gli altri, perché il pasto viene consumato in silenzio e prestando la completa attenzione a come si mangia.

“Cucinare – dichiara la religiosa Jeong Kwan- è un atto di nuova creazione che si svolge secondo la propria energia e capacità, è il creare qualcosa dal nulla. Il cibo, una volta mangiato ed entrato al mio interno perde la sua forma ma ne ritrova un’altra. Durante questo momento se tutti danno il proprio meglio e cercano di svuotare la propria anima riescono a creare un collegamento fra loro e riescono a dialogare”.

Ringrazio l’istituto coreano per aver organizzato queste giornate e aver reso possibile questo incontro
Per informazioni:
eng.koreatemplefood.com
jogyeorder.korenantemplefood

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