Lucca, Comics e L’imbuto

Lucca, Comics e L’imbuto

Di certo non potevo mancare di raccontare questo weekend a Lucca.
Sono quelle pagine che scrivo perché mi piace poi “risfogliarle” dopo qualche tempo, come fosse un diario, rileggendolo, ripenserò a quei weekend pieni di emozioni che hanno contraddistinto l’autunno 2016. Giustificando a me stessa il fatto che, no, non penso solo al cibo e a cucinare, nella vita c’è altro… Forse.. Quasi. Ma non esageriamo.

Insomma, le congiunture astrali mi hanno portato a Lucca per il Comics, tra i cosplay e i nerd alienati di computer, videogiochi, giochi di ruolo, manga e cultura giapponese. Mai ho visto tanti negozianti italiani, vendere noodle liofilizzati e distribuire acqua calda per rigenerarli e poi c’è Cristina D’Avena e tutto l’universo dei cartoni animati, che sfido chiunque a non avere nel cuore dall’infanzia.

I negozi di Lucca cambiano aspetto nelle giornate del festival, vengono svuotati per essere riempiti di gadget e pupazzetti nipponici. Si svolgono mille convegni e congressi, per esempio a me che piace il cinema… Sono morta dalle risate ad andare all’incontro del “cinema di menare” di quei pazzi de i400calci… E così ecco svelato un altro lato oscuro di kitty’s kitchen, che ama i film surreali, onirici e anche un po’ splatter.
E’ si, la vita non è tutte rose e Hello Kitty.

Bene, dopo una breve intro non troppo food-ereccia.
Passerei a raccontare de L’imbuto.
Lucca conta moltissimi ristoranti quello che ho deciso di provare è stato quello di Cristiano Tomei (re della Griglia vi dice nulla? Era il giudice).

L’imbuto si trova all’interno del museo Lu.c.c.a di arte contemporanea, il locale è al piano terra e si divide in diverse piccole sale, adornate in maniera particolare ma molto minimale.

La carta dei vini è ben fornita, ricca sia di vini toscani, sia di champagne interessanti.
Quando ci si siede al tavolo de L’imbuto l’unica cosa da scegliere è il numero di portate 5, 7 o 9 che corrispondono a diversi menù degustazione i prezzi sono di 10 euro a piatto quindi 50, 70 o 90. Il menù cambia giornalmente difficilmente si assaggiano gli stessi piatti e ogni esperienza fatta qui non è mai uguale all’altra.

In 3 abbiamo scelto il menù intermedio e solo una commensale ha preso quello piccolo, la differenza rispetto a noi è stato solamente il fatto di interrompere prima il numero delle portate, pertanto tutti e 3 i menù hanno tutti le stesse prime 5 portate. Ad accompagnare la cena abbiamo scelto uno champagne blanc de blanc, Boulard-Bauquaire.


Abbiamo la fortuna di essere proprio il tavolo vicino alla cucina, è lo chef stesso che ci racconta i suoi piatti e questa è un piccola fortuna che consente di apprezzare in maniera totalmente diversa l’esperienza dei piatti assaggiati.
Come benvenuto viene subito servito un piatto di calamari, lo chef ci dice che sono “fatti” utilizzando lievito di birra ucciso, portato ad alta temperatura e usato per la cottura, il piatto è rinfrescato da foglie di sedano.

Segue il primo piatto del menù che porta con sé il gusto amaro. Sarà il leitmotiv di questo percorso di degustazione, secondo lo chef è un gusto imprescindibile in cucina che dona la giusta completezza al piatto. L’Ombrina con juliene di zucchine, ha alla base del piatto un estratto di rosmarino intensissimo, il profumo è accattivante il sapore, bè ovviamente amaro. Devo ammettere che di primo impatto è un gusto che non trovandomi spesso ad affrontare, non è facile apprezzare.

Parlano una lingua più comprensibile i ravioli all’olio, polvere di cavolo nero e calamaro sono ravioli ripieni di liquido che è olio extravergine d’oliva di zona, delle colline lucchesi. Lo chef non perde occasione per parlare della qualità che ha questo prodotto nel suo microclima, considerando quello franto adesso e conservato fino a marzo, quello di qualità migliore.

Il piatto successivo ci viene presentato come “Insalata” e non viene aggiunta altra spiegazione, se non dopo averlo finito. Non è stato difficile indovinare che era a base di cervello fritto, ma si componeva di: cervello fritto, anguilla, salsa all’alloro, arancia acerba anche in questo caso l’arancia acerba, lasciata volutamente con la buccia conferisce, insieme all’alloro il gusto amaro ricercato, il cervello era fritto magistralmente e l’anguilla delicata nel gusto.

Ci viene servito un altro piatto sono: spaghetti con pesto di pinoli ed elicriso. L’elicriso è una bellissima aromatica che cresce lungo i litorali, la zona di Viareggio ne è piena, è una pianta profumata ma dal gusto molto amaro, infatti il pesto è addolcito dai pinoli (sempre scelta di ingredienti marittimi) e dalla dolcezza naturale della pasta.
Il primo assaggio portato alla bocca ha esattamente il sapore della pianta stessa, ma dopo un istante il gusto si evolve, cambia trasformandosi in altro dopo la deglutizione del bolo. Qui, comprendo che questo gusto mi ha spiazzata.
Trovo in questo piatto il bandolo della matassa e da qui in poi ho iniziato a comprendere fino in fondo cosa volesse dire la cucina di Cristiano Tomei.
L’insieme dei gusti del piatto porta all’equilibrio e dopo l’assaggio la bocca resta perfettamente pulita, quasi balsamica, quasi rinfrescata, assolutamente non amara. La vera sorpresa è che nessuno prima d’ora mi aveva proposto le erbe mediterranee così pure e fragranti, un piatto semplice che però segna in me una piccola svolta, un gusto diverso, mai sentito. Qualcosa che suona di nuova scoperta e nuovi modi di trasformare materie prime semplici come le aromatiche mediterranee.
Un piatto da degustare come si farebbe per un calice di vino, assaporandone le varie fasi e la persistenza dopo l’assaggio.

Seguono poi 4 portate di carne e qui, devo dire che davvero lo chef per queste preparazioni ha una marcia in più.
Bistecca primitiva, ossia bistecca alla tartara con buccia di patata, servita su corteccia di faggio caldo, da mangiare con le mani.
La componente ludica della portata è evidente, ma la goduria dei pezzetti di grasso soffiato e croccante, che sono insieme alla carne è puro piacere. Uno dei piatti che ho preferito.

Il Cinghiale con mele e patate è un piatto che si compone di tenerissimi sfilacci di carne accompagnate da patate ridotte a purèe e accarezzate da una sottile sfoglia di mela dolce.

Ancora l’abbinamento carne con gusto dolce, il Rognone con caramello salato e bacche perfetta la cottura della carne interessante l’abbinamento. Da una prima metà del menù che portava con se note e gusti duri, adesso si è passati a una seconda parte più permeata da gusti dolci e morbidi. Quasi una preparazione al dessert.

Ottima anche l’anatra con susine e whisky il gusto dolce abbinato alla carne questa volta è anche supportato da sentori affumicati, torbati, “tabaccosi”, sono le note che il whisky porta con se. Anche questo piatto ottimo per la cottura dell’anatra, lasciata della giusta consistenza.

Chiudiamo la cena con predessert e dessert prima la cialda croccante con olio al cedro, bavarese alle erbe e basilico e poi un budino di elicriso con parmigiano, salsa agli agrumi e pimpinella questa volta niente amaro, ma il gusto dolce non è eccessivo ed è controbilanciato dalla componente sapida e vegetale.
Per rinfrescare la bocca: gelato di ricotta di capra e camomilla il sapore di camomilla era intensissimo, è stata un piccola coccola finale.

L’esperienza a L’imbuto per me è la scoperta della cosa più facile del mondo, ma che nessuno mi aveva mai spiegato come poter apprezzare prima. L’amaro.
L’imbuto è stato il vortice che mi ha riportato all’essenza. Il cono che si restringe lasciando uscire poche cose ma semplici ed essenziali: l’esperienza che si concretizza nel mangiare carne cruda con le mani e trovare un equilibrio sospeso, istantaneo, che è in quel boccone di spaghetti al pesto di elicriso.

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