Enoteca La Torre a Villa Laetitia

Enoteca La Torre a Villa Laetitia

Lungotevere dell’Armi, inizia da Ponte Risorgimento, una zona magicamente tranquilla di Roma, meno trafficata di altre, soprattutto la sera. Si parcheggia agevolmente per arrivare a Villa Laetitia, una di quelle residenze di lusso, un pochino baroccheggianti, che sembrano appartenere ad un altra epoca.
In effetti, la struttura risale al 1911 ed è di proprietà di Anna Fendi, la stilista. Indubbia la bellezza della costruzione: un incantevole dehors, all’esterno, sale dai soffitti altissimi e meravigliosi ambienti delimitati da vetrate, all’interno. Solo il palazzo meriterebbe la visita.

Relativamente di recente, cioè prima di questa estate, Villa Laetitia si è dotata di ristorante e a occuparsene è arrivata l’Enoteca la Torre. Nome noto per la sua sede a Viterbo, attualmente sotto la guida dello chef, Danilo Ciavattini, stellato Michelin dal 2010.

Varcando l’ingresso tutto richiama al lusso e alla formalità, dai marmi sui muri, agli stucchi dorati, alla tappezzeria dei divani, alla scelta del tovagliato di pregio.
Un ambiente che, quasi, ad attraversarlo ti fa sentire più piccola (e con me, siamo d’accordo, che non ci vuole molto) di quello che sei.

E’ possibile prendere un aperitivo fuori in giardino, in estate, o nella sala del bar, prima di accomodarsi nel salone della cena. Decidiamo di soprassedere al drink e ci accomodiamo direttamente al tavolo della cena.

Appena seduti, ci vengono serviti su di una originale tavolozza da pittore, dei mini cornetti di pasta fillo e ricotta da mangiare come finger food, mentre si sfoglia il menù.
Viene proposta una doppia carta dei vini, una tradizionale, ed una con una selezione di bottiglie di Anna Fendi, forse la carta resta un pochino penalizzata in favore di questa seconda selezione.
A seguire sono presentati anche i pani, che durante la cena, sono via via aggiunti al piattino dell’ospite in accordo con le portate, così che si abbia modo di provarli tutti.

Deciso il menù, inizia l’assaggio di alcune piccole entrèe.
Buono il raviolo farcito di olio e servito su pancotto, da mangiare con un pochina di attenzione, in un sol boccone tenendolo sulla parte anteriore della lingua.
Ci vuole la giusta tecnica per non fare come me, ed essere colpiti dalla tosse causata dalla piccantezza del ripieno (che errori da pivella per una sommelier dell’olio, eh!?)

Il menù per il nostro tavolo è stato, il degustazione: “Tra classici e novità” prevede 7 portate alternate tra pesce e carne, l’ultimo piatto è a scelta tra manzo o agnello (costo 85 euro).
A brevissimo però, ci hanno riferito, sarà inserito quello autunnale.

Si parte quindi, con la creme brulèe di baccalà al cacao amaro, un antipasto in cui si gioca con le consistenze della crosticina brunita e la cremosità del sottostante.
Un inizio gradevolissimo e un accostamento accattivante che non lascia indifferenti.

La portata successiva era una Tartare di manzo, foie gras affumincato alle erbe con fico: ottima la tartare condita con un altrettanto ottimo olio e erba cipollina nella giusta dose, buona la combinazione di tutti e tre gli “ingredienti” insieme. La speziatura-affumicatura del foie gras che è avvolto in una “scorza bruciata” di aromi, però, non mi ha convita del tutto.
Da applauso invece il mix di maialino in tempura, gelato all’acciuga e pomodoro al sapore di pizza: pancetta di maiale cotta a bassa temperatura e poi fritta in una pastella leggerissima, mangiata insieme al pomodoro e al gelato all’acciuga creava un insieme di sapori e temperature diverse, saporito e appetitoso. Piatto che forse più di tutti mi è piaciuto.

Due i primi piatti previsti: ravioli di ricotta e fegatini di pollo, aceto balsamico e fiori di timo e spaghetti con gambero rosso, lavanda, limone e midollo di bue.
Ho preferito i ravioli agli spaghetti. I ravioli, avevano un sapore prevalente di ricotta e burro che sovrastava un poco quello dei fegatini secondo me, la pasta era sottile e delicata, il timo invece, la spezia azzeccata per esaltare il tutto.
Per quanto riguarda il secondo primo: buona la consistenza del gambero rosso, carnoso, per niente asciutto, ma questo ingrediente risultava poco legato al resto del piatto. Mancava di qualcosa nel bilanciamento dei sapori a mio parere.

Mi è piaciuto il manzo Wagyu e tortino croccante di campagna, sicuramente un gusto più confortante e semplice. Il tortino di patate e porri accompagnava perfettamente la carne, con la sua componente croccante. Non ho chiesto una cottura specifica della carne, ma ho lasciato fare allo chef, ed era perfetta. Fiocchi di sale croccanti e qualche spezia hanno davvero esaltato questa tipologia pregiata di manzo.

Meno soddisfatta invece del dessert che univa troppi sapori a mio parere, si trattava di una meringa alla crema con tatin di mele, sorbetto al cioccolato fondente e lavanda, insieme a briciole croccanti, lampone e spezie. Bellissimo da vedersi, difficile capire l’ordine da seguire per guastarlo.

Ad accompagnare la cena abbiamo optato per due champagne Baron Fuentè, il primo millesimo 1998 e il secondo pinot nero.

Il giudizio finale di questa esperienza presso Villa Laetitia resta comunque molto positivo, è una cucina di livello alto, anche se, ad onor del vero qualcosa non mi ha del tutto entusiasmato. Sicuramente lo chef sa dare il massimo nella cucina di carne e cacciagione, in effetti i piatti che prevedevano questi ingredienti sono quelli che ho apprezzato da più. Mi riservo la possibilità di provarlo in periodo autunnale per poter esprimere un parere più completo.
Servizio cortesissimo e attento, da encomio.

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